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Introduzione
È un grande piacere per me riassumere brevemente la storia e l’attività del laboratorio di Strutturistica Chimica, che è stato creato verso la metà degli anni sessanta da Alberto Ripamonti a Trieste, la sua prima sede di professore ordinario. Non potrà non essere un breve “amarcord” di un trentennio, ma io spero che sia soprattutto una testimonianza delle qualità umane e scientifiche di Alberto e dei risultati che da queste sono scaturiti. A Trieste Alberto è rimasto per circa cinque anni, che furono sufficienti per creare un laboratorio, che ha svolto, sia pure con qualche difficoltà nella fase immediatamente successiva alla partenza di Alberto da Trieste, un’intensa attività di ricerca, sviluppando diverse collaborazioni in Italia e all’estero, ha preparato giovani cristallografi, alcuni oggi professori universitari ordinari e associati.
La strutturistica a Trieste
Lo sviluppo nel tempo della Strutturistica a Trieste è schematicamente descritto nel diagramma di Figura 1, dove sono riportati i ricercatori in pianta stabile, le tematiche di ricerca e le collaborazioni, che si sono avvicendate dagli anni sessanta ad oggi. Nei quadrati in grassetto confluiscono coloro che hanno dato il contributo maggiore allo sviluppo di quella tematica e dell’eventuale collaborazione con altri laboratori.
Figura 1: I ricercatori e le tematiche di strutturistica chimica (Cliccare sull’immagine per ingrandirla)
In questo diagramma il tempo scorre dall’alto verso il basso ed è scandito dalla data di nascita (per decenni) dei ricercatori, che mi perdoneranno questa indiscrezione. A destra e a sinistra sono riportati i titoli delle ricerche svolte con una certa continuità e gli eventuali collaboratori di altre università italiane e straniere. Per indicare i ricercatori della Strutturistica di Trieste che hanno dato il maggior contributo a una data tematica di ricerca sono state utilizzate delle frecce a tratteggio. I nomi dei ricercatori locali sono riportati nei cerchi più grandi e sono ancora tutti sulla breccia, tranne Nevenka Bresciani che è andata in pensione anticipata. Ciò ha permesso di chiamare a Trieste Gilberto Vlaic che ha arricchito il laboratorio di una nuova tecnica di indagine strutturale, l’EXAFS. Gilberto è attualmente responsabile della costruzione di una beam-line EXAFS ad Elettra, che diventerà operativa il prossimo anno. Coloro che hanno iniziato a Trieste per migrare altrove sono indicati nei cerchi più piccoli, come Federico Giordano, poi passato a Napoli con Alberto nel 1969; come Sergio Bruckner, laureato e borsista a Trieste e poi trasferitosi a Milano con Giuseppe Allegra (successore di Ripamonti a Trieste per un triennio) e oggi ordinario a Udine; come Beppe Bruno, che dopo il battesimo biennale con la cristallografia a Trieste è ritornato a Messina, dove dopo aver collaborato con Marisa Bombieri, è oggi professore ordinario di Strutturistica Chimica.
A proposito di questo grafico, mi si permetta una divagazione. Se riuniamo i centri dei cerchi grandi (escluso quello interno), la figura risultante è un rombo con il vertice superiore in Ripamonti e quello inferiore in Geremia. Se si guarda ai decenni di nascita e si assume che una generazione accademica si produce circa ogni dieci anni, in questo rombo ideale sono rappresentate quattro generazioni accademiche. Questa ristretta realtà riflette l’andamento più generale della nostra Università: la piramide (o se vogliamo il triangolo) con il vertice verso l’alto si è, nei decenni, trasformato in un triangolo con il vertice verso il basso. I triangoli generano il rombo rappresentato nella Figura 1, mettendo in comune la base, che rappresenta la generazione accademica nata dagli anni quaranta. Questa generazione è il tappo che sta bloccando involontariamente, insieme ad altri fattori, l’accesso di forze nuove all’Università italiana.
Polimeri Inorganici
Dal punto di vista scientifico, parlare di Ripamonti a Trieste vuol dire parlare di “polimeri inorganici”. Venendo a Trieste, Alberto decise di iniziare un nuovo tipo di ricerche, abbastanza lontane da quelle che aveva svolto in precedenza nel gruppo di Alfonso Maria Liquori a Roma, Napoli e Bari. Mi sia consentito, come allievo indiretto di A. M. Liquori di ricordarlo qui con affetto e con profonda commozione per la sua scomparsa, avvenuta proprio mentre scrivo questa nota: una personalità scientifica eccezionale, ma che non ebbe la possibilità (e forse la volontà) di esplicarsi fino in fondo e ciò ha rappresentato una grave perdita per la chimica italiana.
Lo studio di polimeri inorganici, come gli alchilfosfinati,[1] alchilmonotiofosfinati [2] e alchilditiofosfinati [3] di zinco(II) e cobalto(II) era un’area di ricerca allora emergente, sia per quanto riguarda la sintesi che gli aspetti strutturali e le proprietà. Con l’aiuto di un folto gruppo di giovani collaboratori, alcuni dei quali provenienti da Napoli (Vincenzo Giancotti, che oggi è un biochimico delle proteine, Federico Giordano e il sottoscritto) attrezzò un laboratorio di sintesi inorganiche, accanto a quello di cristallografia, ben dotato di camere Weissenberg, a precessione e Debye.1 I faticosissimi tentativi di Giancotti, altro emigrante napoletano, per ottenere cristalli singoli si protrassero a lungo, ma alla fine furono coronati da successo. Benché di non eccelsa qualità, i cristalli permisero una raccolta fotografica dei dati di diffrazione. Mi piace a questo proposito ricordare quando, soprattutto agli inizi, Alberto, guardando un fotogramma per la centratura di un cristallo, sentenziava a ragione: “2° in alto” e noi stupivamo non sapendo come faceva.
L’interpretazione della mappa Fourier, faticosamente calcolata dai dati raccolti, richiese un lungo periodo di tentativi a vuoto, ma che aiutarono noi giovani di allora a capire più a fondo il significato di una determinazione strutturale: calcolo dei fattori di struttura, mappe Patterson e Fourier (tracciate a mano), metodi diretti con le disequazioni di Harker-Kasper valutate a tavolino, funzione di minimo; costruzione di modelli spaziali con gli scovolini per pipe. Tutto era rallentato dall’allora scarsa (rispetto a oggi) disponibilità di risorse di computing e di registrazione dei dati: lettura e rilettura di “macchiette” di un gran numero di lastre fotografiche, disponibilità di uno dei primi IBM1620, che per stampare le mappe Fourier aveva a disposizione solo i numeri da zero a nove e usava I, J, K, ecc. per dieci, undici e dodici, J0 per cento e J00 per mille, e così via. Eppure allora ci consideravamo fortunati nel non usare più le strisce di Beevers e la calcolatrice Tetraktis.
Figure 2. Struttura degli alchilfosfinati (a) e alchiltiofosfinati (b). (Cliccare sull’immagine per ingrandirla)
Dopo tanti tentativi infruttuosi di Federico Giordano e miei, Alberto ebbe l’illuminazione. Ricordo in modo chiaro come, allargando e stringendo pollice e indice, ci indicava i possibili vettori zinco-zinco sulla mappa Patterson, tracciata a mano. Finalmente la struttura del fosfinato di zinco fu risolta: una lunga catena di ioni Zn2+, chelati alternativamente da un singolo e da un triplo ponte di ioni alchilfosfinato (Figura 2a). I monotiofosfati avevano simili strutture polimeriche, mentre i ditiofosfinati resistettero a lungo ai tentativi di Mario Calligaris prima di rivelare la loro struttura dimerica (Figura 2b). Forse vale la pena di ricordare che a quei tempi avevamo orario “spezzato”. Alberto aveva preso l’abitudine di venire spe